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Last Updated on March 6, 2011

Qualche giorno fa ho dedicato un post all’ultimo malware (è proprio il caso di dire da sogno) dell’Androide: il famigerato DroidDream. L’ennesima minaccia mobile per l’androide ha creato un pericoloso precedente, essendo il primo malware, a differenza dai suoi illustri predecessori (Geinimi, HongTouTou e ), ad aver fatto breccia direttamente nel market ufficiale.

Da subito si è saputo che il “Sogno d’Androide”, utilizzando l’invontolontario tramite di applicazioni lecite, è stato in grado di iniettare nei terminali infetti codice malevolo in grado di prendere la root (o meglio la radice) del dispositivo (da cui il nome di Android.Rootcager) in maniera autonoma (ovviamente senza il minimo consenso da parte dell’utente).

Ora cominciano a trapelare notizie un po’ più precise sul malware (che ne riducono in parte la pericolosità, poiché sembra che l’applicazione malevola “si limiti” a trasmettere al server remoto i soli IMEI, IMSI, modello del dispositivo e versione del SDK),  tuttavia, proprio in queste ore Google ha reso nota la propria strategia per (è proprio il caso di dire) sradicare il malware e risolvere il problema alla root radice. Il gigante di Mountain View ha deciso di premere il grilletto ed azionare, per la seconda volta nella sua storia, l’operazione di pulizia remota degli Androidi Malati. La prima volta era accaduta a giugno 2010, quando il colosso di Mountain View si rese conto che due ricercatori avevano iniettato, a scopo dimostrativo, una falsa applicazione nel Market (uno sniffer che poteva essere usato con conseguenze ben più serie).

Ovviamente questo modus operandi ha nuovamente sollevato l’annoso interrogativo se certe pratiche siano attuabili o ledano in maniera eccessiva la libertà e la privacy dell’utente. In teoria la pulizia remota rappresenta un valido strumento di sicurezza, in pratica riapre l’annosa questione della privacy e se sia lecito che un produttore, anche se animato da buone intenzioni, si spinga un po’ troppo oltre la linea rossa che separa la proprietà del terminale da parte di chi ci ha speso, nel migliore dei casi, 500 Euri). La questione è tanto più spinosa quanto più si considera il fatto che certe mosse risolutiive (a mali estremi estremi rimedi) sono causate da una filiera di controlli nel market non rigorosa come quella di Cupertino (e verrebbe da dire anche da un OS non proprio in forma smagliante in questo periodo).

D’altronde i Termini di Servizio dell’Android Market parlano (poco) chiaro. L’articolo 2.4 dei sopra citati termini di servizio recita infatti:

Google può venire a conoscenza che un Prodotto viola i termini del Contratto di Distribuzione con gli Sviluppatori per Android Market o le leggi applicabili e/o le regole di Google. In tal caso, Google potrà disabilitare l’accesso a tali Prodotti a propria discrezione e senza preavviso.

A questo punto i possessori di Android (tra cui il sottoscritto) si sentiranno un po’ tra l’incudine e il martello: effettivamente non so se è preferibile la consapevolezza che il proprio sistema operativo del cuore ultimamente venga preso un po’ troppo di mira dai Cybercriminali (oggi per gioco, ma domani?),  oppure il fatto che, in caso di contagio da malware, si può sempre sperare che il Grande Fratello effettui un accesso remoto al nostro terminale, rigorosamente non richiesto, per ristabilire l’ordine delle applicazioni.

Si dirà che queste cose capitano anche ai possessori della Mela (con tanto di minacce di class action). Corretto, ma almeno in questo momento il cuore di Mela, dati di malware alla mano, è certamente più sicuro.

Non resta che installare droidwall, magari bloccando tutte le connessioni in ingresso e uscita… Bene ora lo vado a vedere al market… Aspetta, che cos’è la prima cosa che c’e’ scritta…”ATTENTION: ROOT REQUIRED!!!”

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