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Last Updated on February 22, 2011

In queste ore IDC ha pubblicato un interessante documentoAccelerate Hybrid Cloud Success: Adjusting the IT Mindset” (sponsorizzato da VMware) in cui esamina l’andamento del mercato dei servizi legati al Cloud nei prossimi 4 anni in EMEA (Europa, Middle East e Africa). Nel corso del 2009 i datacenter del Vecchio Continente, Medio Oriente e Africa, hanno assistito allo storico sorpasso delle macchine virtuali nei confronti delle macchine fisiche. Questo sorpasso ha agito da volano per il cloud, che ha esteso rapidamente la propria ampiezza e profondità, diventando un perno delle infrastrutture IT per gli anni a venire.

Lo studio delinea in maniera inequivocabile il trend esponenziale di adozione del cloud con particolare focus sulle infrastrutture di tipo hybrid cloud (ovvero quelle che adottano un approccio intermedio tra una infrastuttura completamente pubblica e una infrastruttura completamente privata). Se nel 2009 IDC stima che sono stati spesi circa 3.4 mld di $ per servizi legati alla nube di tipo software-as-a-service [SaaS], infrastructure-as-a-service [IaaS], e platform-as-a-service [PaaS], gli investimenti per servizi analoghi, sempre secondo le stime IDC, raggiungeranno nel 2010 i 5.3 mld di $ (con una crescita del 56% rispetto all’anno precedente) e sono destinati a crescere sino a 18.8 mld. di $ nel 2014.

Il motivo di una tale crescita è presto detto (e abusato): il cloud sopperisce ai problemi cronici delle infrastrutture IT riassumibili in:  costi di gestione elevati, utilizzo non efficiente delle risorse computazionali, consumo eccessivo di energia, inquinamento e, last but not least, mancanza di agilità dei servizi erogati che non si muovono alla stessa velocità dei requisiti di business.

Ai problemi cronici delle infrastrutture IT si sommano ulteriori fattori, letteralmente esplosi nel corso degli ultimi due anni:

  • La diffusione selvaggia dei server x86 in EMEA (raddoppiata da 1.3 milioni a 2.7 milioni di unità tra il 2003 e il 2008) con tutte le conseguenze in termini di consumo energetico e costi di approvvigionamento e gestione;
  • Processi di business sempre più dinamici e in tempo reale che necessitano  di infrastrutture dinamiche e in grado di adattarsi al processo con la stessa velocità con cui lo stesso muta;
  • Base di client eterogenei composta da dispositivi mobili e multiformi (smartphone, tablet, netbook), dispositivi che devono accedere alle risorse ed ai servizi da una vasta gamma di piattaforme, con le stesse condizioni di sicurezza.

Una simile diffusione non deve però mettere in ombra quelli che sono i problemi storici del cloud, evidenziati anche in queste pagine: la sicurezza, le prestazioni, l’affidabilità e (fattore non esplicitamente citato nella ricerca IDC sebbene strettamente pertinente alla sicurezza), la conformità con le normative vigenti nei vari paesi.

Come suggerisce il titolo del documento IDC la rivoluzione non è solo tecnologica ma (soprattutto) culturale: per gli utenti (che non hanno più il controllo diretto dei propri dati), e per i gestori che vedono fiorire modelli di servizio ibridi e soprattutto vedono cadere le barriere gestionali dei diversi componenti di una infrastruttura: il Data Center 3.0 basa difatti la propria intelligenza e dinamicità sulla rete e considera sistemi, storage e rete come una unica entità.

Purtroppo non è tutto oro quello che luccica, soprattutto nel Belpaese. Tecnologia e Normativa non si muovono alla stessa velocità e, ironia della sorte, lo studio IDC raggiunge la comunità IT a poche ore dalle dichiarazioni di Luca Bolognini, Presidente dell’Istituto Italiano Privacy, che, nel corso di una tavola rotonda nell’ambito dell’IDC Security Conference 2011 (sempre di IDC si tratta), ha dichiarato che il Cloud, per quanto sia una tecnologia vincente, è teoricamente illecito in quanto non conforme con le normative di diversi paesi europei.

I motivi sono i soliti:

  • La nomina del responsabile del trattamento dei dati che diviene eccessivamente fumosa all’interno della nube: una entità che vede molteplici soggetti che interagiscono all’interno del servizio, sovente non identificabili. A peggiorare il quadro concorre il fatto che in Europa non è concepita oggi la figura del super-responsabile.
  • La sicurezza dei dati in termini di diritto e privacy, intesa non solo come sicurezza protettiva dagli abusi;
  • La perdita dei dati, che dovrà essere notificata anche dai Cloud Provider tramite apposita normativa;
  • L’ultima questione, la più importante (e a mio avviso legata alla sicurezza) riguarda il problema dei dati all’estero, che sfuggono totalmente alla normativa locale. Non a caso avevo già sollevato questo problema giungendo alla conclusione che, in caso di necessità di un servizio cloud di qualsiasi tipo, mi avvarrei sicuramente di un fornitore di servizi nazionale. Solo in questo caso potrei essere (almeno teoricamente) sicuro che la tutela delle mie informazioni sia in linea con la legge e certo, in caso di necessità, di poter disporre delle informazioni necessarie per una eventuale analisi forense.

Questa dicotomia tra tecnologia e normativa sarà in grado di trovare una convergenza parallela? Probabilmente si, non credo proprio che le previsioni IDC sulla nube andranno in fumo a causa della scarsa aderenza alle normative. La soluzione sulla carta è chiara e prevede l’adozione di una normativa più realistica che capovolga il paradigma dell’attuale modello di controllo: da un modello pubblico centralizzato ad un modello privato e distribuito, che si appoggi cioè su una rete di fornitori di servizi che si facciano essi stessi garanti con un insieme di regole comuni e condivise. Nel frattempo i fornitori di servizi dovranno essere pronti: nella prima metà del 2011 si prevedono difatti le prime ispezioni (probabilmente conoscitive) del Garante.

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